Centro di (s)formazione

Il raggio ha iniziato il terzo anno delle superiori.

Avendo un programma differenziato rispetto ai suoi compagni, segue un percorso di formazione integrata (anziché l’alternanza scuola lavoro). Frequenta cioè 3 giorni a settimana le lezioni a scuola, ed i restanti 2 giorni va al centro di formazione. Detto così sembra semplice. Tra l’altro a noi genitori era sembrata anche una buona idea per staccare dalla scuola, facendo altre cose in un ambiente più inclusivo e rilassato.

Non frequenta volentieri l’ente di formazione. Non essendo al corrente della propria disabilità vede gli altri ragazzi, tutti certificati come lui, e comincia ad avere dei dubbi anche su se stesso. Purtroppo sente anche un senso di rifiuto. Lo stesso che ha da quando gli abbiamo parlato del fatto che sua sorella abbia la diagnosi di spettro autistico.

Io ed il papà gli abbiamo spiegato che sia lui che i suoi compagni di corso hanno diritto di cercare di entrare nel mondo del lavoro o almeno di provarci. Ed in previsione di questo importante step deve piano piano imparare a convivere sia con le persone che gli piacciono (e con cui si trova bene) che con quelle che non lo attirano particolarmente (con le quali magari si trova meno bene).

Un giorno, all’ora di pranzo, il raggio torna a casa dicendo che uno dei compagni di corso gli ha dato diversi spintoni, sino a farlo quasi cadere dalla sedia durante la lazione. E vabbè penso, sono ragazzi, ci sta che scherzino in maniera più fisica… Mando un messaggio WhatsApp ad una delle tutor, chiedendole di stare attenta ad eventuali contatti bruschi tra loro due e considero chiuso l’argomento.

Lezione successiva: il raggio, durante la ricreazione, riceve dei pugni sulle braccia che gli fanno male, sempre dalla stessa persona. L’adulto presente si limita a chiedere all’altro ragazzo di smetterla di dare colpi al compagno. Il pargolo scrive a noi genitori via messaggio e viene cazziato dai tutor dicendogli di non far intervenire casa perchè “tanto i tuoi genitori non potrebbero fare niente in questa situazione“. Mi agito, temendo per la sua sicurezza. Questa volta non mi limito al messaggino, ma faccio una telefonata alla responsabile. Minimizza, scazzata. Sono perfettamente consapevole che finirà tutto a tarallucci e vino. Inizio quindi a parlare della situazione con la responsabile degli insegnanti di sostegno scolastici che mi consiglia di chiedere a chi ha fatto le segnalazioni alla regione per inserire il raggio nel percorso integrato: la neuropsichiatra ASL e l’assistente sociale del centro di terapia convenzionato.

Siamo ad un’altra lezione ancora. I tutor devono aver sgridato il compagno del raggio perchè si limita a rovesciargli una bottiglietta d’acqua sui jeans e gli dà “solo” qualche schiaffo in testa. Sono incazzata come un gorilla selvatico. Chiamo la responsabile (che non mi risponde apposta un paio di volte) che poi apre invece la comunicazione sbuffando. All’inizio della chiamata cerca di convincermi che i ragazzi scherzavano tra loro, poi dopo che le rispondo di non prendermi per il… naso afferma allora che il raggio ha provocato il suo compagno. Le richiedo di non dire… corbellerie ed allora si giustifica col fatto che il compagno manesco ha problemi con la gestione della rabbia e che non ci si può fare nulla. Comprendo così bene il suo punto di vista che affermo che se la volta successiva il pargolo tornerà a casa con qualche segno addosso lo faccio refertare e parte una denuncia. Credo si stia trattenendo per non mandarmi a… stendere.

Il raggio ci chiede di saltare la giornata successiva di corso, e meno male che gli diamo retta! Il suo compagno con cui stavano solo scherzando e sono solo ragazzi aggredisce una altro compagno ed un professore e scoppia la baraonda. Non scrivo qui i dettagli, perchè è una questione molto delicata, ma esplode davvero un grosso casino. Dal centro mi chiamano per chiedere come mai il pargolo non si è presentato e, quando rispondo testualmente che non viene garantita la sua sicurezza lì e che quindi non frequenterà più finché non ci sentiremo più sicuri di mandarlo, partono le urla. Urlo anch’io nello smartphone come una pescivendola, spiegando che ho segnalato il problema ai servizi.

Panico.

Ahi ahi… Allora non era proprio esatto che noi genitori non potevamo comunque farci nulla! Colpo di scena! Dopo qualche giorno vengo richiamata e ci viene fissato un appuntamento.

Mi rifiuto di portare con noi genitori il raggio innanzitutto perchè è la parte offesa e non colui che ha fatto la birbonata ed infine perchè non è giorno di corso ma di scuola e dovrebbe comunque fare un’assenza. Mi illudo che magari si scuseranno. No, col cavolo, ho quasi 50 anni e penso ancora che le persone siano per la maggior parte brave. Se potessi mi schiaffeggerei da sola. Mi limiterò a darmi della scema allo specchio.

Arriva il gran giorno. Ci presentiamo al centro noi genitori ed assistiamo a due ore di monologo della tutor (del responsabile del centro neanche a parlarne) dove riusciamo ad inserirci a malapena. Solite cazzate (scherzavano, il raggio ha comunque provocato il compagno rivolgendo la parola ad una ragazza che piace ad entrambi ecc) ma soprattutto l’amarezza di capire che, se noi genitori non avessimo piantato un casino e segnalato il tutto, saremmo forse stati costretti a ritirare il raggio dal corso, facendogli perdere un anno. Il ragazzo che gli ha alzato le mani invece ora ha subito 2 giorni di sospensione e segue solo lezioni individuali. Ma io mi chiedo: non si poteva farlo subito? Ed addio alla filosofia del filo d’erba

Ora no, l’anno prossimo forse (comunque probabilmente no)

Qualche giorno fa Facebook mi propone un post sponsorizzato di una tenuta con prati, ma soprattutto cavalli, che organizza un’ultima settimana di campo estivo a fine agosto. Telefono subito al numero sull’annuncio per chiedere se posso iscrivere la monella, prima che i posti siano esauriti.

Quella che credo sia la proprietaria mi snocciola tutte le attività previste nel programma (orto e laboratori, volteggio, piscina). La fermo subito e specifico che la bimba è autistica. La persona dall’altra parte della cornetta sembra titubare un po’, poi mi dice che stando così le cose dovrà seguirla in rapporto uno a uno. Che lei ha i titoli per farla montare a cavallo, nonostante la sua disabilità e bla bla bla. Sono 150 euro, dalle 8-9 del mattino sino alle 16-17 del pomeriggio, il posto è a 30 chilometri da casa nostra, ma per far provare alla piccola una full immersion nella natura siamo disponibili col papy a metterci tutte le mattine la sveglia alle 5 per essere su alle 9.

Dopo un’oretta mi rendo conto che a causa dell’euforia del momento non ho capito i dettagli per i pasti. Scrivo su Whatsapp al numero che avevo chiamato.

Sognavo già ad occhi aperti la cucciola che guardava estasiata i cavalli e giocava con gli altri ragazzini nell’orto, ma a questo punto la persona fa una spettacolare retromarcia rispetto a quanto mi aveva appena detto e mi scrive, nero su bianco e via messaggio, che avendo una disabilità mia figlia non può essere iscritta al campo. Io rimango allibita e delusa e provo a chiedere spiegazioni. L’interlocutrice si limita ad offrirci ospitalità per la festa della zucca in autunno, dicendo che si scusa, ma che al campo ora (vorrei comunque ricordarmi di ricontattarli l’anno prossimo per vedere se è vero che si attrezzeranno) possono gestire solo bambini neurotipici. Mi consiglia infine due altre strutture: una a 25 km e l’altra a ben 112 km! Piuttosto che tentare o far fare almeno una prova a mia figlia autistica, mi dà i nomi di due strutture sue concorrenti! E sempre tutto per iscritto!

Sono circa 3 anni, precisamente dal lockdown, che non riesco a trovare un centro estivo con gli educatori comunali ne per il raggio, ne per la monella. In questi anni avrò fatto decine di tentativi: scuole di danza, piscine, centri privati, onlus, fondazioni, scout cattolici…

L’anno scorso mi sono fidata, per la piccola, di un centro divertimenti privato vicino a casa. La proprietaria ha un figlio autistico (quindi si presume che capisca perfettamente le nostre problematiche e che, magari, ci venga incontro il più possibile). Il centro non è enorme, ma ha una bella palestra con specchi ed altoparlanti sparsi nei vari angoli. I bimbi ballano e sono contenti. Lascio lì la cucciola una mattina, più tardi rispetto al normale orario di entrata. Dopo poco più di un’ora la proprietaria mi chiama dicendo di correre a prendere la bimba. Mi precipito subito lì col papy pensando che la monella si fosse magari fatta male ed invece ci ritroviamo la proprietaria che, incazzata, dice che la bambina non può stare in palestra con gli altri bambini. Che se voglio farla frequentare, oltre al pagamento mensile devo versare 12 euro all’ora ad una sua collaboratrice che starà con la monella e la aiuterà. Facciamo quindi un ultimo tentativo, accorgendoci subito che questa “educatrice” si chiude in una stanzetta con la piccola, strappandola quindi alle attività con i suoi coetanei. E la stanzetta è caldissima, essendo in piena estate e non avendo la possibilità di spalancare le porte come per esempio la palestra. Quindi, infine, la bambina potrà andare in settimana a giocare, ma solo per due ore, solo chiusa in stanza e non potendo partecipare alle gite brevi e lunghe perchè “l’educatrice” in settimana le serve come secondo adulto per le uscite coi piccoli. Ultimo tentativo concluso e mai più replicato, raccontando a tutti quelli che conosco la “professionalità” e “l’umanità” della persona che ad oggi continua a gestire tutto questo. Sentendomi poi anche dire che l’avrebbe presa più avanti se fosse riuscita ad ottenere la convenzione col comune come centro diurno… Certo, la mettiamo davanti ad un tavolo a giocare col pongo o a ritagliare le figure colorate dalle riviste! E comunque, grazie al cielo, il centro non è mai diventato centro diurno: era solo l’ennesima cavolata…

Fortunatamente quest’anno sono riuscita ad iscrivere la monella al servizio estivo dell’asilo! Era però purtroppo l’ultimo anno… Lì è stata presa per forza perchè con la 104 non possono rifiutarsi. L’anno scorso invece nessuno mi aveva ricordato la scadenza dei termini e quando finalmente mi è venuto in mente era già tutto chiuso da 10 giorni. Ho supplicato la segreteria, ma a loro dire, nessuno ha rinunciato.

Se non fossimo così super incasinati ci sarebbe effettivamente una soluzione. Ci sono cooperative, società sportive e onlus che accettano i pargoli d’estate, ma solo se in inverno hanno frequentato le loro strutture e laboratori. Ok. Non è difficile dai! Quest’anno devo solo star dietro al raggio al terzo anno di superiori, alla monella che inizia la primaria ed al team che segue l’evolversi della situazione di mia mamma. Più le terapie giornaliere. I ragazzi entrambi con gravità al 100% e mia mamma con disabilità gravissima. Cosa volete che sia? Una passeggiata! Peccato che non esistano famiglie con un solo componente con disabilità, ma anche più di uno. Chi lasciamo indietro per riuscire a frequentare una cooperativa per avere il posto assicurato anche d’estate? Saltiamo le terapie? La scuola? Che poi non mi si venga a parlare di inclusione perchè divento una bestia!

La disabilità non importa

O meglio, conta solo per ciò che riguarda i diritti dei nostri figli.

Non è necessariamente una condanna, ma sono gli altri a fartela pesare.

Le ore di terapia (se si ha la fortuna di trovare subito posto in convenzione), quelle di sostegno, gli insegnanti preparati e quelli meno, il centro estivo (“non accettiamo ragazzi con problemi, solo quelli normali”), lo sport (“se ha problemi meglio che gli/le trovi un centro attrezzato per casi come il suo”), lo smart working che è una chimera…

Alla fine non sono (più) dilaniata dal peso delle diagnosi – sempre che riusciremo mai ad averne almeno una su due prima dei prossimi 10 anni – ma da tutti questi piccoli, grandi problemi che sommati diventano una montagna.

Allora cosa fai? Scleri? Sei pazza

Cerchi di dare una mano ai tuoi figli come puoi? Sei un genitore elicottero

Combatti contro tutti su tutta la linea? Sei una r*mpic*gl**n*

Anche a noi genitori H, per usare il termine con cui ci descriveva l’assistente sociale del nucleo adozioni 10 anni fa, piacerebbe una vita tranquilla, serena, inclusiva. Questo modo di nominarci tra l’altro dimostra il fatto che la ASL all’epoca avesse già tracciato una bella croce sulle nostre speranze.

Ma la cosa più senza senso, che ho scoperto in questi giorni, è che se adotti un/a bambino/a non italiano e chiedi di fargli fare un anno ponte alla scuola materna non c’è problema, se invece hai una bambina autistica grave, ma non adottata, sono tutti cavoli tuoi. Te la fanno proseguire che tu voglia o meno.

Così come anni fa mi era già successo col raggio. Tu sai che stai andando incontro al disastro, con la bimba che nella migliore delle ipotesi, vivrà in aula di sostegno (che alle elementari del raggio chiamavano aula morbida, neanche fosse un posto carino e divertente) e sei costretta ad ingoiare la rabbia e il senso di già visto, ed a fare finta che non sia successo niente.

Se poi a questo ci sommiamo l’auto che dopo 12 anni ci ha fatto ciao ciao (ed il delirio per acquistarne un’altra con iva al 4%), una delle nostre cagnoline che si è rotta un legamento del ginocchio (operata, un mese e mezzo di convalescenza, per non parlare del fattore economico) e abbiamo dovuto lasciar volare la più vecchia sul ponte dell’arcobaleno, perchè ho la fama di avere un pessimo carattere.

La disabilità non importa, purtroppo però ti viene fatta pesare ad ogni respiro