Ansie

Ho iniziato a leggere l’Early Start Denver Model per cercare di capire un po’ meglio la monella. 

Procedo piano piano perchè tra i lavori di casa, il corso di e-learning per il lavoro e le lezioni (più le terapie) via PC del raggio sono un po’ occupata, ma se non altro ho trovato il coraggio di leggere qualcosa sull’autismo. Ieri in videoconferenza con i colleghi, il responsabile mi ha comunicato che, a differenza degli altri che possono lavorare in smart working, io e l’altra collega del front office dovremo teoricamente andare in ufficio a partire dal 4 maggio. Vedremo, gli ho già fatto presente che ho entrambi i ragazzi a casa e sono super incasinata. E anche la collega ha due figli ed una nipotina. Confesso che questa quarantena mi ha fatto provare fortissimo, per l’ennesima volta, il desiderio di licenziarmi. Probabilmente non lo farò perchè toglierei di botto metà dell’importo che entra mensilmente in casa, però sento di non riuscire a reggere ancora per molto. Vorrei avere più tempo per stare con i ragazzi, vorrei portare la piccola al parco o a fare un giro (passata l’emergenza covid) senza l’assillo degli orari. Ogni volta che entro in ufficio mi chiedo se il fatto di restare a casa potrebbe fare un qualche tipo di differenza per i ragazzi.

Secondo la neuropsichiatra ASL non tutti i sintomi dalla monella corrispondono all’autismo classico, tanto che per ora ha emesso una diagnosi più generica, ma ogni volta che la piccola forma una fila perfetta di macchinine o lego mi viene sia da sorridere che da incazzarmi.

La cosa che più preoccupa me e l’altra metà della mela è la quasi totale assenza del linguaggio. Neanche il raggio, alla stessa della sorellina parlava così poco. Con tutto ciò che ne consegue. A febbraio, per esempio, la piccola ed io abbiamo preso una bruttissima gastroenterite che si è protratta per un mese, contagiando ovviamente anche il resto della famiglia. La monella ed il fratellone hanno avuto la forma peggiore. Vi risparmio i dettagli di tutti i cambi di vestiti e lenzuola, le lavatrici notturne ecc. perchè la monella ci faceva capire che stava per… solo un secondo prima di stare male. Per non parlare dell’otite, che le è arrivata mentre aveva già la gastroenterite in corso, che abbiamo scoperto solo grazie al Gaslini quando per fortuna l’emergenza covid era solo all’inizio. Di ottenere una visita col pediatra neanche a parlarne, nemmeno se era solo ancora fine febbraio..

Il pensiero di ricominciare tutto da capo, come abbiamo fatto per il raggio, con la piccola mi mette ansia. Lotte per il sostegno, lotte per le ore di terapia, il dover sempre trovare la forza di combattere come se, anziché due normali genitori, fossimo due angeli vendicatori…

Quest’anno infatti, dopo l’ennesima porta in faccia dalla scuola frequentata dal raggio, abbiamo inviato una diffida tramite avvocato: ore di sostegno che passano magicamente da 18 a 12 su PEC ufficiali (falso in atto pubblico), la coordinatrice di classe che ci ride in faccia proprio in merito alle ore durante un primo incontro sul PEP, il raggio (che comunque non ha un carattere facile ed è in piena adolescenza) bullizzato dai compagni ed anche dalla prof. di motoria… Insomma, eravamo ormai allo stremo. Con il papy abbiamo scelto di procedere solo per vie legali. Per anni abbiamo tentato le mediazione sembrando solo due ingenui ben educati. Allora, sempre con la massima educazione, ora ci toglieremo un po’ di sassolini dalle scarpe.

L’altro giorno, riordinando le foto sullo smartphone, guardavo alcuni piccoli filmati che ho fatto alla monella da quando è nata sino a prima della diagnosi. Probabilmente, se fossi stata un medico, avrei già notato delle avvisaglie di quello che sarebbe diventato poi il suo disturbo, invece mi sembra normalissima. Se mi arriva ancora un po’ di coraggio voglio scrivere alla neuropsichiatra per chiederle a che diagnosi finale sta pensando. Dovevamo fare anche gli esami genetici al Gaslini questo mese, ma è saltato tutto. Il mio proposito per questi mesi è cercare di trattare normalmente la piccola e vedere se riesco a stimolarla un po’ di più a parlare. Vedremo!

Chiusi in casa

Immagine presa dal web

 

Ebbene sì, da un paio di settimane tutta la famiglia è chiusa in casa.Ho tentato sino all’ultimo di mantenere una parvenza di normalità nonostante il corona virus e, finché sono riuscita, ho preso il bus o il treno per andare in ufficio per svolgere la mia mezza giornata. Poi però…

Le persone in autobus mi si appoggiavano addosso o si sedevano vicinissime pur di avere le chiappe sul sedile, fregandosene altamente della distanza di sicurezza. Se provavo a ricordargliela, mi guardavano come se fossi matta.

Il pubblico al lavoro continuava ad entrare, anche se in forma ridotta, e non erano ancora arrivati i divisori in plexiglass per il bancone del front office.

Una sera, al ritorno, sono rimasta mezz’ora bloccata su un treno, ovviamente bello pieno, tra una stazione e l’altra con le solite simpaticissime persone che mi venivano addosso senza ovviamente neanche mezza mascherina sui volti.

Mi sono spaventata. Molto.

Ho due figli con disabilità psichica ed un marito diabetico e cardiopatico. Devo cercare di non ammalarmi per non impestare tutti. Se a me e mio marito succede qualcosa non so che fine farebbero i ragazzi. Chi adotterebbe due persone con disabilità? Nessuno.

La mattina stessa, o quella appena successiva, in cui è stata dichiarata la pandemia ho potuto scegliere (insieme ad altre colleghe con figli ed anche nipoti, in alcuni casi) di stare a casa. Dove rimarrò sino ai primi di aprile o forse anche oltre. Sarà un modo bizzarro di trascorrere il mio compleanno tra pochi giorni, ma non sarà il primo in cui ero bloccata (quando ho compiuto 41 anni ero incintissima della monella e 4 giorni dopo lei è nata: ero talmente grossa che non riuscivo più a muovermi).

Mi sto godendo queste settimane regalate coi ragazzi, anche se ogni tanto mi fanno uscire di testa. Tenere a freno la piccola non è semplice, ma cerchiamo tutti di farla giocare durante il giorno.

Il raggio segue le lezioni online con i professori di sostegno (che tra l’altro ora non si lamentano più per il nostro essere troppo appassionati alla tecnologia, chissà come mai, mentre in classe ci sono ragazzi senza pc o senza connessione wi-fi a casa che ora sono nei casini) ed a breve forse anche qualche lezione con la classe (più per salutare i compagni che per usufruire dei contenuti).

Mi sono ricordata i racconti di mia nonna materna sulla seconda guerra mondiale (quando mi parlava dei bombardamenti, dei cibi razionati, della borsa nera). In questo caso nessuno ci chiede di combattere o ci bombarda, ma il nostro nemico ora è invisibile. Dobbiamo stare al riparo e disinfettare tutto. A parte la costrizione non è male stare coi pargoli, potrei quasi pensare di rendere la cosa definitiva. Se riusciamo ad uscirne indenni, ovvio. Se ce la faremo organizzerò un lungo viaggio tutti insieme. Se ce la faremo, ce lo saremo meritato.

Come ti chiami?

“Come ti chiami?”, le chiede la maestra.

E la monella, ovviamente, muta.

Non pensavo di riuscire a portare a termine tutte le pratiche ed invece ho raccolto l’intera documentazione necessaria per l’iscrizione alla materna della piccola belva. Mi sono fatta consegnare il verbale temporaneo della 104 (anche lei con gravità come il raggio) subito dopo la visita collegiale in Asl, mi sono fatta spedire via mail il certificato delle vaccinazioni ed infine ho fatto fotocopiare codici fiscali e quant’altro dal cartolaio di fiducia. Pur avendo il posto praticamente assicurato, a causa della 104, ho partecipato a due open day in due asili diversi (uno statale ed uno comunale) ed ho effettuato l’iscrizione ad entrambi. Dovremo ovviamente rinunciare ad uno dei due, ma in cuor nostro, io e l’altra metà della mela, abbiamo già scelto l’asilo. Conseguentemente ieri siamo andati tutti nella scuola materna prescelta, che metteva a disposizione la struttura per conoscere i bimbi, farli socializzare e giocare.

Il raggio ha avuto un  momento di panico ed è dovuto uscire per alcuni minuti con il papà. Nonostante, negli anni, abbia sempre cercato di raccontare la sua infanzia e le difficoltà legate all’agenesia in maniera leggera e scanzonata, ora mi rendo conto di aver affrontato anni interi con ansia e paura. Dieci o undici anni fa, temevo il giudizio delle altre mamme, le prese in giro dei compagni. Ora invece le vivo giornalmente sulla pelle del ragazzino e mia. A gennaio, sono arrivata a mettere in atto quello che ritenevo il mio piano di emergenza: ho contattato un avvocato per i gravi problemi che il raggio ha avuto per le ore di sostegno (poche per la sua patologia e spesso utilizzate dalla dirigente per dirottare il professore a fare tutt’altro, col ragazzo sempre e comunque presente a scuola). Per non parlare delle note sul registro, una delle quali presa appunto dal professore che dovrebbe dargli una mano: ma grazie a questo ora ho una prova scritta che questa persona fa regolarmente supplenza anche con il ragazzino presente (ovviamente non è per nulla legale e corretto). Nessuno però si sogna di dare una raddrizzata ai piccoli bulli di 12 o 13 anni che fumano davanti ai compagni… Se ne vedessi uno offrire una sigaretta al raggio non risponderei delle mie azioni, altro che note… Meglio prendersela con chi è più fragile certo, lasciamo stare i piccoli boss per non far incazzare i genitori… Invece noi abbiamo la scorta di pazienza infinita, certo… Ma sto divagando. Torniamo alla monella in asilo.

Una delle maestre ha provato a chiedere alla piccola di casa diverse volte come si chiamasse, finché non le ho sussurrato a mezza bocca che non parla. Che è in fase di diagnosi ed è  seguita dalla Asl. Mi ha fatto quasi tenerezza quando ha tentato di spiegarmi i passi per richiederle il sostegno. Avrei voluto fare una foto alla sua espressione quando le ho risposto che è già tutto a posto. La monella ha giocato per circa un’oretta (pur non interagendo mai con le altre bimbe presenti), le insegnanti sembrano giovani e pazienti. La struttura è circondata dal verde della collina – un po’ come casa nostra – e dalle finestre si gode di una vista tranquilla. Le classi sono ordinate e piene di scatoloni di giocattoli (che la monella avrebbe gradito buttare ovunque, motivo per cui ad un certo punto siamo praticamente fuggiti) e la struttura è lontana quanto basta dalla strada principale dove scorre il traffico di auto, moto e bus.

Non è facile parlare agli estranei e raccontare di avere due figli con disabilità psichica. Ricordo ancora con chiarezza, due settimane fa, i due membri della commissione Asl che si davano di gomito leggendo il paragrafo in cui la neuropsichiatra ha scritto che la piccola ha già un fratello con problemi. Mi è anche toccato spiegare per la millesima volta cosa comporta l’agenesia. Ma un corso di aggiornamento per tutti i medici in servizio mai?

La mia leggera vena di follia e dabbenaggine mi fa percepire però un bizzarro senso di speranza per il futuro.

Ricordo quando, a proposito del raggio, la maggior parte dei medici mi disse che sarebbe stato un vegetale. Ed invece ora è un adolescente iper ciarliero ed un po’ incasinato ok, però non ha nulla in comune con i vegetali per fortuna! Tra l’altro oggi sono 13 anni precisi da quando la diagnosi di agenesia ci ha colpiti come un treno in corsa.

Oggi mi ritrovo a parlare con la monella ed  a cercare di carpire il suo sguardo per qualche secondo mentre gioco con lei, o la tengo in braccio o vicina. Le parlo e cerco di percepire cosa vuole farmi capire. Prima o poi forse anche lei risponderà alla domanda “Come ti chiami?”, chissà…