Le cose che mi ha insegnato mio figlio

Ad essere fiera di lui

Ho imparato che non è una diagnosi, come medici ed insegnanti tendono a sottolineare quotidianamente, ma semplicemente un bambino, anche un po’ discolo se vogliamo! 😉

 

A gioire per ogni singolo progresso

Non do mai nulla per scontato, molte tappe arrivano da sole e per altre ci vuole un aiutino, ma mi sento contenta anche solo quando prova ad abbozzare le prime letterine dell’alfabeto con carta e penna o quando prova a sollevare entrambi i piedi andando in monopattino.

A non arrendermi mai

Quante volte tutti noi ci siamo sentiti dire che sarebbe stato difficile avere più ore di sostegno, o trovare un terapista valido oppure una scuola decente? Parecchie vero? Qualche volta mi sento un po’ Don Chisciotte contro i mulini a vento, ma spesso riesco a spuntarla! C’è comunque da dire, per amore di verità, che ho un caratteraccio!

La resilienza

intesa come

“capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. E’ la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità che la vita offre, senza perdere la propria umanità” [cit. Wikipedia]

Anche solo per tentare l’idoneità all’adozione internazionale, per esempio, ho dovuto non solo affrontare le mie stanze buie, ma anche spolverarle, imbiancarle ed arredarle con mobili di design insieme al papy del raggio

A non prendermela troppo per i momenti no

 In questi ultimi anni mi sarà capitato già mille volte: le maestre che dicono che il pargolo è ingestibile, il dolce infante che in autobus o
al centro commerciale urla a squarciagola che la tal signora ha un neo enorme in faccia o la gobba sulla schiena… L’arrivare stanchissima a casa col pargolo che è capriccioso ed annoiato… Il cercare di immaginarsi come sarà tra 10 anni e il tentare di capire se questi sintomi si attenueranno o rimarranno identici.

Sto cercando di capire quando posso trovare una soluzione utile ed invece quando devo solo lasciarmi tutto alle spalle.

La disabilità (come qualunque altra diversità) tira fuori il peggio delle persone

La nostra società è ancora troppo immatura per accettare ed integrare chiunque si stacchi dalla massa. Ma siamo sicuri che la diversità non faccia rima con creatività, spontaneità, ma sopratutto con carità? Ed un pizzico d’amore?

Se hai un figlio disabile non sei idoneo all’adozione internazionale

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Per cabala è da un po’ che non scrivo: speravo di poter annunciare una bella notizia.

Invece sto per raccontare l’ennesima porta chiusa in faccia.
Qualche mese fa, in questo post avevo svelato che con mio marito stavamo tentando la strada dell’idoneità all’adozione internazionale.
L’adozione nazionale infatti ci è preclusa in quanto abbiamo già un figlio biologico.
Ebbene: ci è preclusa anche quella internazionale perché il raggio ha l’agenesia del corpo calloso.
Non siamo la migliore famiglia che un bambino adottato potrebbe desiderare perché nostro figlio naturale è disabile.
Mi costa tantissimo scriverlo ed ancora di più dirlo ad alta voce, ma è quello che ci sentiamo ripetere da febbraio 2013 (durante il secondo incontro, quando con mio marito abbiamo avuto il coraggio di parlare dell’ACC di nostro figlio) dal centro adozioni dell’ASL e che ci hanno ripetuto anche durante l’ultimo incontro.
Abbiamo raccontato alla psicologa ed all’assistente sociale della scoperta del probabile futuro handicap durante l’ecografia morfologica, della scelta di andare avanti comunque, delle difficoltà affrontate ed in parte superate, della creazione con altri genitori come noi dell’associazione e del libro scritto a tantissime mani.
Credo che l’impegno sociale del volontariato sia un merito e non un problema da risolvere ed ho sempre pensato che chi cresce un figlio speciale sia un genitore PIU’ , non un genitore di serie B, ma evidentemente mi illudevo…
Avendo invece un bambino nato con una malformazione cerebrale ed impegnandomi con altri amici che hanno figli con lo stesso problema, sottrarrei tempo ad un secondo figlio venuto da lontano o così almeno crede la ASL.
Qualche giorno fa psicologa ed assistente sociale ci hanno detto espressamente che daranno a me e mio marito parere negativo sull’idoneità, in quanto in passato l’hanno concessa a coppie in cui uno dei due aspiranti genitori era in carrozzina o aveva malattie degenerative gravi ed è successo che queste famiglie si siano irrimediabilmente compromesse e distrutte per il non riuscire a gestire la situazione col nuovo arrivato/a.
Con noi non se la sentono di correre nuovamente il rischio di un mezzo fallimento adottivo e quindi ci stoppano senza speranza di appello (se non quello tramite legale + psicologo di parte).
Noi siamo preparati ad un figlio problematico, abbiamo già affrontato una delle cose peggiori che può capitare ad un padre ed una madre, abbiamo guardato dentro all’abisso ma ci siamo pian piano risollevati. Chi meglio di noi può affrontare un bambino che ha vissuto un’infanzia problematica e che non sarà una passeggiata da affrontare?
Durante il penultimo incontro ci hanno posto la domanda di chi salveremmo se avessimo con noi già il bambino adottato insieme al raggio ed entrambi rischiassero di affogare: ho risposto che tenterei di salvare entrambi o spererei di morire anch’io perché non potrei mai vivere con un peso del genere sulla coscienza.
Non mi hanno creduta. Secondo loro salverei solo il raggio.
E’ la stessa domanda che mi sono posta quando ho dovuto scegliere se interrompere la gravidanza: potrei vivere con un peso del genere? NO. Ed eccoci qui oggi.
Ho raccontato la nostra storia innumerevoli volte: prima ai parenti, poi agli amici ed in seguito – piano piano – anche a colleghi e capi sul lavoro. Mi è capitato di essere intervistata in radio ed in televisione per eventi legati all’associazione: l’ultima volta nel blog dolcissimo di Antonella Vi .
Fino al mese scorso non sentivo più il dolore quasi fisico che mi provocava il tirare fuori i ricordi.
Ora invece, mi sento di nuovo a pezzi.
A fine maggio torneremo in ASL con mio marito per farci leggere la relazione finale (già sapendo che è negativa all’idoneità) ed attenderemo successivamente che venga inviata al tribunale.
Quasi sicuramente questo significherà il non avere l’idoneità, ma non ce la siamo sentiti di dire al team della ASL di stracciare tutto e che lasciavamo il percorso incompiuto.
Ci hanno per l’ennesima volta consigliato di lasciar perdere, perché se per un miracolo improvviso il tribunale ci concedesse questo benedetto pezzo di carta, a parer loro nessun ente sarebbe disposto ad abbinarci.Avevamo depositato la domanda in tribunale ad agosto 2012, ci hanno chiamati per il corso obbligatorio in Regione a novembre. I colloqui sono cominciati solo a febbraio ed ora che è quasi maggio 2013 abbiamo preso atto che avremo parere negativo.
Quasi nove mesi (per combinazione il tempo di una gravidanza fisiologica) per sentirci dire che non possiamo adottare perché nostro figlio è disabile.

Riflettendo sulla disabilità

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Sono giorni che, per varie ragioni, sto tentanto di definire per me cosa significhi la disabilità di mio figlio.
Lo descrive già molto bene, anche se forse è banale, “Benvenuti in Olanda” di Emily Perl Kingsley.
Da una parte c’è il dolore di scoprire che qualcosa in gravidanza è andato storto e di percepire pian piano che il bambino è un po’ più lento a capire dei coetanei, dall’altra c’è la gioia di vederlo crescere e sfidare senza saperlo le fosche previsioni dei luminari 5 anni fa.
Il sintomo principale che ci ha creato l’ACC è stata l’iperattività o l’essere “spirited child” come mi ha fatto scoprire Marzia di L’ascia sull’uscio .
Confesso che sto ancora leggendo il libro che ha citato nel post perché il mio inglese è un po’ disastroso, ma il profilo del bambino amplificato, sino al capitolo a cui sono arrivata sinora, si applica perfettamente al raggio.
Ovviamente per noi non si tratta solo di questo, ma anche della fatica di creare una frase, o della difficoltà per esempio di capire i concetti astratti come numeri, colori, metafore, modi di dire ecc…
La verità è che per me l’ACC e tutto ciò che ne consegue è diventata come il colore degli occhi o dei capelli e difficilmente riuscirei ad immaginare mio figlio senza. Certo, se qualcuno mi desse una bacchetta magica dicendomi che posso guarirlo, lo farei subito!
Poi certo, voglio anche puntualizzare che la strada sarebbe più semplice se non ci fosse chi pensa che magari noi genitori di bimbi special (come dice un caro amico) siamo genitori di serie B o che – peggio – lo siano i nostri ragazzi.
Mi riferisco a medici, insegnanti e tutti i vari personaggi con cui abbiamo contatti giornalieri, o quasi, durante l’anno.
Un’altra verità infine è che non cambierei mio figlio con nessuno perché grazie a lui, nonostante tutte le difficoltà e le varie deiezioni che ci siamo presi sulla faccia metaforicamente io e suo papà, credo di essere diventata una mamma con una marcia in più, una mamma che ha anche tirato fuori le palle e che sopratutto finalmente riesce di tanto in tanto a dimenticarsi il problema.
Volevo una Panda, ho avuto una Seicento, invece: ok, arriveremo lo stesso a destinazione, pian piano e godendoci il panorama!